I suoi commenti sono lo spunto per spiegare perché penso che, in generale, la partecipazione di uno scienziato a un programma televisivo su temi pseudoscientifici sia una "trappola mediatica". Questi programmi sbilanciano il dibattito a favore di chi sostiene tesi pseudoscientifiche. Una prima ragione riguarda un'osservazione preliminare di Andrea:
il dubbio amletico «partecipare o non partecipare» quando si tratta di dibattiti pseudoscientifici è irrisolto.Qualunque sia la decisione, lo scienziato fa una scelta perdente. Se partecipa rischia di prestarsi a strumentalizzazioni mediatiche per favorire gli ascolti. Se non partecipa appare come un esponente di una casta che non accetta il confronto su verità scomode. Chi sostiene le pseudoscienze, invece, ha solo da guadagnare e nulla da perdere.
Un'altra ragione riguarda l'approccio giornalistico, che Andrea riassume così:
Un meccanismo base del giornalismo vuole che per ogni argomento ci siano almeno DUE VOCI. Il confronto è necessario perché il buon giornalista non è un'opinion maker, ma è un informatore. Riporta notizie e fonti sulle quali spetta all'utente, lettore o telespettatore che sia, farsi la propria opinione.Questo meccanismo è adeguato per confronti fra persone con opinioni divergenti che però condividono gli stessi metodi, regole e standard di qualità, per esempio gli scienziati. Non sono invece convinto che mantenga la neutralità quando gli interlocutori hanno metodi e regole radicalmente contrastanti, come nel caso dell'indagine scientifica e delle scienze da cargo cult.
In quest'ottica più i due commenti sono DIVERGENTI, meglio è perché si dà all'utente l'impressione di essere un giornalista neutrale e perciò affidabile. Inoltro se lo spettro di informazioni è ampio, allora l'utente si sente gratificato, perché può avvalersi della sua capacità di scegliere liberamente in prima persona.
Quando le voci vengono messe sullo stesso piano e si è tutti uguali sul ring mediatico, come fa notare Andrea, si sottrae al pubblico un elemento importante per formarsi un'opinione completa. Se i metodi di indagine e le regole degli interlocutori sono incompatibili non basta l'esposizione di fatti e testimonianze: il metodo è il messaggio.
Lo scienziato si trova dunque in posizione di ulteriore svantaggio. Non solo al pubblico mancano spesso le nozioni tecniche di base per comprendere la discussione, ma conosce ancora meno gli strumenti concettuali e lo spirito critico della scienza, trascurati dai media e dalla stessa divulgazione.
La terza ragione per cui penso che la partecipazione di scienziati a dibattiti su pseudoscienze sia controproducente riguarda lo stile e il sempre più forte orientamento commerciale del mezzo televisivo, che privilegia il sensazionalismo e non favorisce la neutralità.
Non ho la soluzione al dubbio se prendere parte o meno ai dibattiti TV sulle pseudoscienze, che rimane irrisolto. Ma ritengo insoddisfacente l'approccio giornalistico perché non adeguatamente equilibrato, nei fatti anche se non nelle intenzioni.